lunedì 5 novembre 2012

il padrone di pannella


Dedicato a tutti coloro che perdono il loro prezioso tempo in polemiche spesso giuste, qualche volta no, con Marco Pannella (e/o con i suoi "seguaci"), con quello che dice e/o fa o non dice e/o non fa.

     Il Partito Radicale è un partito carismatico e quest'affermazione, a 57 anni dalla sua fondazione, non è altro che un giudizio storico: a prescindere dal giudizio di valore che si vuole dare al ruolo del carisma. Ormai non lo sa quasi più nessuno, ma la più rivoluzionaria delle proposte del Partito Radicale, la madre di tutte le riforme, quella più osteggiata, incompresa e sconfitta dalla "cultura" nazionalpopolare e controriformista prima ancora che dalla "politica" partitocratica, non riguardava un diritto civile ma il suo modello di partito aperto, cioè lo strumento con cui fare politica.

    Mi posso definire un pre-sessantottino. Da giovane, dopo quattro anni di militanza nella LID (Lega per l'Istituzione del Divorzio, un'accozzaglia di vecchi anticlericali, giovani anarchici, "fuorilegge del matrimonio" - tra cui ex partigiani ed ex repubblichini - e varia umanità) mi iscrissi al Partito Radicale, vero motore della lega, con la legge Fortuna-Baslini ormai praticamente approvata. Me l'ero promesso nel '66, stufo delle chiacchiere dei partiti laici e di sinistra, da vero pragmatico: voglio aiutare questi quattro gatti, e se mi dimostrano che faremo il miracolo di introdurre il divorzio nel paese del Vaticano avrò trovato la mia casa.
    Solo dopo capii che non era così. Il mio partito non era una casa, ma un trenino a vapore: era scritto nel suo statuto, stilato nel 1967 dai giovani radicali di allora, come proposta di partito federale della sinistra unita. In pratica diceva basta con questi partiti-chiesa settari e litigiosi, il modello deve essere il Partito Democratico americano, una federazione di associazioni di base (culturali, sindacali, sociali, imprenditoriali ecc) e di comuni cittadini anche diversissimi fra loro, ed uniti solo da quelle poche ma grandi proposte di riforma approvate dal congresso a data fissa. Nel PD americano militavano negli anni '70 il Rev. Jesse Jackson simpatizzante del Black Power e il Governatore razzista dell'Alabama George Wallace e nessuno di loro disse mai "se entra lui esco io!" Ogni riferimento ai "democratici" partiti italiani, con i suoi Fioroni, Vendola, Binetti e Buttiglione vari è puramente voluto.
    Un trenino a vapore: esce dal congresso con una destinazione scritta a pennarello indelebile: può essere divorzio, obiezione di coscienza, aborto legalizzato, oppure riforma garantista della giustizia, attuazione degli art. 39 e 49 della Costituzione o quello che gli pare. Tu, liberale, comunista, fascista, cattolico, ateo, anche se sei stato iscritto da dieci anni, leggi quel cartello e solo se sei d'accordo su destinazione e conducenti ti iscrivi; e se vuoi vai a farti le altre tue lotte altrove, da solo o con la compagnia che saprai trovarti o crearti. E pensa un po': nessuno ti caccerà dal partito! Proprio come nessuno fa scendere da un treno un viaggiatore con biglietto pagato solo perché non la pensa come il capotreno, che ha solo il dovere di portarti a destinazione. Oppure quest'anno la proposta non ti convince e non ti imbarchi, almeno per questa fermata, poi si vedrà.
    So già l'obiezione partitocratica: ma questo non è un partito, è un comitato elettorale! Niente affatto, è un partito d'azione, perché fa politica a prescindere dall'esito elettorale. Meditate sulle riflessioni di Simone Weill e Hannah Arendt (anni 30 e 40 del secolo scorso) sul totalitarismo strutturale dei partiti politici non anglosassoni, confrontatele con la storia successiva e vi spiegherete quanto male la controriforma cattolica ha fatto all'Europa dividendola, e in particolare all'Italia privandone la cultura popolare del concetto protestante di tolleranza: la nostra cultura nazional-popolare è ferma al conflitto tra guelfi e ghibellini. Ma passiamo oltre.
    La conseguenza più interessante del partito aperto prefigurato dal PR è che nessuno può impedire a un iscritto di associarsi con chicchessia per condurre una battaglia politica non fatta propria dal congresso del partito; l'iscritto invece è liberissimo di non iscriversi per uno o più anni. E' legittimo restare nel partito per creare le condizioni per la crescita del consenso sulle proprie proposte (e non visioni del mondo, del tutto incompatibili con il partito aperto), ma dedicare le proprie forze a contrastare con la parola e l'azione il lavoro degli organi del partito non ha senso, oltre ad essere moralmente insostenibile.
    E per ottenere cosa? Mi ricordo di un solo esito elettorale in cui una maggioranza di iscritti mise in minoranza la mozione appoggiata da Pannella, al congresso di Genova del 1979. Pannella si iscrisse e fece politica per conto suo, mentre i nuovi dirigenti (tra cui Rippa, Rutelli, Quagliariello, Vecellio, Bernardini...) non si dimostrarono all'altezza della mozione da loro portata al successo congressuale, e il gruppo si sfasciò accusando Pannella di averla sabotata con la sua scelta di fare altro per conto suo come qualsiasi altro iscritto. Ma non si può pretendere di imporre ad un qualsiasi iscritto di appoggiare anche fattivamente una mozione che non lo convince; c'è solo da ringraziarlo per la sua iscrizione nonostante il disaccordo. Per lo spirito dello statuto, in un simile caso all'iscritto si richiede solo di non collaborare e non sabotare.
    Io, dopo essere stato iscritto per tre decenni, per dodici anni ho fatto altro, e ora lo sono di nuovo (al PR, non a radicali italiani) ma non mi sono mai sognato di rompere il cazzo a chi si fa il culo per le cose in cui crede: altrettanto chiedo nei miei confronti, ed è tutto.
    E' assurdo pensare che le cose in cui crediamo abbiano più forza se riusciamo ad imporne la realizzazione a Pannella o ad un inesistente "apparato" di partito: ci conviene rimboccarci le maniche e far vedere di cosa siamo capaci, con chi le condivide. E' dal 1966 che ho la fortuna di avere Pannella AL MIO SERVIZIO: quando mi convince io mi iscrivo, lui tira la carretta o la fa tirare a chi accetta di farlo (l'ho fatto volentieri anch'io, e a lungo), se mi va collaboro, altrimenti faccio altro. Conoscendo i miei limiti non farei meglio di lui neanche se facessi il segretario, semplicemente se proprio non mi convince e la "sua" mozione vince al congresso, io non mi iscrivo e faccio altro. Di che posso accusarlo? Di plagio? Di essere invecchiato male? Di non lasciarsi convincere? Di non saper raccogliere voti? E io si?
Cantava Gaber:
"e allora dai, allora dai, le cose giuste tu le sai,
allora dai, allora dai, dimmi perché tu non le fai?"
DOV'E' IL PROBLEMA? Nel partito aperto tutto si gioca in congresso, perciò è bene arrivarci con un bagaglio di realizzazioni (e non di idee o di buone intenzioni, di cui son piene le fosse) capace di convincere la maggioranza sulle proprie capacità, o su quelle della propria associazione: solo così si rottama la vecchia classe dirigente. Altrimenti continuerò ad assistere allo spettacolo penoso degli Ercolessi, dei Malvino e dei Quinto che buttano la loro vita come il Capitano Achab con quell'ossessione per il Pannella-MobyDick.


http://rottamatoio.blogspot.it/2012/04/politica-5-youth.html
http://rottamatoio.blogspot.it/2012/02/politica-4-il-partito-aperto-e-i-suoi.html

Nessun commento:

Posta un commento